Sting & Shaggy: The 44/876 Tour

Aug
1
2018
Taormina, IT
Teatro Antico
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Sting & Shaggy al Teatro Antico di Taormina...

 

E per una serata Taormina si traveste da Kingston...

 

Dura dieci minuti l’atmosfera da concerto da teatro, con il pubblico "educatamente" seduto al proprio posto, intento ad ascoltare le canzoni che il duo Sting & Shaggy propongono dal palco del Teatro Antico di Taormina. Giusto il tempo di una rivisitata versione in chiave reggae di Englishman in New York.

 

Poi il ritmo sale, neanche tanto lentamente. Si riesce a seguire i successivi bravi con relativa calma apparente. All’attacco di basso che introduce Every Little Thing She Does Is Magic, qualcuno tra il pubblico rompe gli indugi. E’ già in piedi ad accennare qualche passo di danza tribale e, intento a prendere quel ritmo lento e dondolante tipico di questa cultura jamaicana, non si accorge delle altre migliaia di astanti che stanno già cantando e ballando da qualche minuto dietro di lui.

 

Il reggae ha questa particolare facoltà di sciogliere le inibizioni, anche delle persone che si recano ai concerti, pensando di riuscire a controllare il proprio essere morigerato. Non si può resistere, come non lo si poteva quando negli anni ’80 si andava ad assistere alle esibizioni di Bob Marley, padre indiscusso di questo genere musicale.

 

Ed è proprio a lui che sembra dedicato questo concerto. Alla sua musica. Alle sue idee di libertà e fratellanza tra i popoli. Quegli argomenti che la banalità di un vivere distratto, ci fa accantonare spesso, in modo eccessivamente pericoloso. Get up, stand up il richiamo alla vita che Sting e Shaggy ci hanno urlato dal palco per tutta la serata, prendendo a prestito l’urlo di ribellione lanciato al mondo da Bob Marley, da quell’isolotto caraibico che, prima di lui, molti non riuscivamo neanche a individuare sul mappamondo.

 

Le canzoni, la musica in genere, le parole pronunciate da Shaggy che incitato gli spettatori ad aprire gli occhi davanti a un mondo, la cui decenza sta lasciando il posto a una nuova ondata di protagonismo astratto, con il quale, ancora una volta, rivendicare una superiorità ideologica, prima ancora che razziale, in nome di una becera, insignificante e stupida convinzione personale.

 

Quel palco, che ha fatto cantare e ballare per oltre due ore le migliaia di persone presenti, ha riunito culture e voglia di comunicazione, dna imprescindibile di ogni musicista, lì a condividere l’unico modo possibile di vivere in questo mondo. Dominic Miller, insieme al figlio Rufus, chitarristi ormai consolidati delle recenti produzioni di Sting, a rappresentare l’Argentina. Josh Freese, batterista e altro fedele compagno a tenere il tempo dagli Stati Uniti. I due vocalist, la splendida Monique Musique e Gene Noble, dai nomi e dai tratti sudamericani, dove gli intrecci etnici hanno da sempre seguito il passo dell’evoluzione umana. Citiamo anche il tastierista Kevon Webster ad aggiungere quel tocco esotico, necessario a completare un messaggio che unisse tutti dentro un’unica razza umana.

 

C’è stato un momento, durante il concerto, mentre la mente e il corpo si lasciavano trascinare dalle sonorità reggae, a volte più scatenate, a volte ammalianti delle storiche Roxanne, Every Breath You Take o Walking on the Moon. Si, c’è stato un momento, mentre il pubblico era completamente catturato e vittima di un delirio armonico al quale abbandonarsi, che si è avuta la sensazione che, quel messaggio di solidarietà, di fratellanza, di amore, che fosse custodito in una bottiglia, che fosse pronunciato dolcemente attraverso un lieve respiro o giungesse dalle lacrime di una stella, fosse rivolto a qualche personaggio politico bene identificato, oltre quella marea di gente sotto il palco e sulle gradinate, disposta ad assorbirlo senza remore.

 

Abbiamo voltato lo sguardo dietro, per un attimo, ingenuamente, a cercare tra la folla qualche possibile destinatario di quella missiva culturale e multietnica che proveniva dal palco. Non abbiamo scorto particolari personaggi che potessero darci la risposta. Né un presidente americano con la voglia di costruire muri, né alcun ministro italiano a chiudere porti. Nessuno dei due, per fortuna nostra...

 

(c) Girodivite

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